
La nave dei Maharaja
Circumnavighiamo a bordo della Nave dei Maharaja
Ieri come oggi l’India è un luogo di fascino e mistero. Basta entrare in un’agenzia viaggi, prenotare uno dei pacchetti disponibili, fare il check-in in aeroporto e in una decina di ore o poco più si arriva a destinazione. Ma se tornassimo negli anni ’30 del Novecento cosa ci aspetterebbe? E’ presto detto: nove giorni di viaggio a bordo della motonave Victoria del Lloyd Triestino, la “Nave dei Maharaja”.


La compagnia di navigazione del Lloyd Triestino ha iniziato nel 1836 a gestire le rotte che da Trieste portavano in Oriente. Dall’Egitto, all’India, all’Estremo Oriente, per più di un secolo qualunque fosse la meta una nave del Lloyd vi avrebbe accompagnato. Alla fine degli anni ’20 del Novecento a causa della concorrenza fu necessario costruire una nuova ammiraglia per la linea di lusso Trieste-Alessandria d’Egitto.
Dopo vari progetti la compagnia prese la decisione di costruire una nave veramente moderna, quasi rivoluzionaria. Se oggi questo appare naturale all’epoca la voglia di modernità rischiava di naufragare contro le aspettative di una clientela molto sofisticata, ma conservatrice.
Precisazione doverosa: quando si parla di transatlantici di solito si fa riferimento alla rotta per New York che storicamente è quella più prestigiosa. Ma fra le due guerre le rotte per l’Egitto e l’India erano quasi altrettanto importanti in termini economici e di prestigio: una ricca e cosmopolita clientela internazionale fatta di uomini d’affari, diplomatici, nobili inglesi, principi indiani, ereditiere e avventurieri andava e veniva da quei luoghi esotici. Insomma, niente emigranti con la valigia di cartone, solo eleganti e facoltosi viaggiatori con cataste di bagagli al seguito.


Basta un anno al Cantiere San Marco di Trieste per costruire il nuovo gioiello lloydiano, la motonave Victoria. Presentata alla stampa ed al pubblico nel giugno del 1931 lascia tutti a bocca aperta: oltre che moderna è davvero bellissima.
Una linea bassa e aerodinamica, due fumaioli ben distanziati e proporzionati, linee curve e arrotondate senza spigoli vivi. Le dimensioni contenute (13000 tonnellate, 165 mt di lunghezza e 21,3 mt di larghezza) le conferiscono un aspetto aggraziato, reso al meglio dalla scelta del colore bianco per scafo e sovrastrutture, con una sottile linea azzurra che corre lungo il ponte di coperta; in ultimo i fumaioli in uno squillante giallo canarino.
Con le prove in mare arriva una sorpresa inattesa: superando senza sforzo i 23 nodi la Victoria è la motonave più veloce al mondo, un record che manterrà per tutti gli anni ’30 (consideriamo che oggi le navi da crociera viaggiano mediamente a 18 nodi).

La compagnia vuole sì una nave moderna ma che non ‘spaventi’ il pubblico. Gli allestimenti vengono affidati all’architetto Gustavo Pulitzer Finali, che promuove lo stile Novecento, ed allo Studio Ducrot, legato agli stili storici. Per entrambi il coesistere è una sfida, ma per fortuna ogni tanto i miracoli accadono.
I designer danno il meglio, il risultato lascia il pubblico meravigliato e la compagnia tira un sospiro di sollievo. Gli ambienti sono contemporanei, lussuosi senza eccessi, sofisticati e accoglienti, raffinati e lontani dalla fredda estetica dell’Art Déco. Grazie all’attenta regia di Pulitzer le sale arredate da Ducrot risultano piacevolmente moderne, senza troppi richiami al passato.
Da una sala all’altra le opere degli artisti del Novecento italiano sono parte integrante dell’ambiente. Se scorriamo i nomi troviamo Marcello Mascherini, Maryla Lednicka e Libero Andreotti per le sculture; Elena Fronda e Augusto Cernigoj per le lacche e gli intarsi; Paolo Venini e Pietro Chiesa per i vetri e le vetrate a mosaico; Gio Ponti per i pannelli lignei e le ceramiche smaltate.
Il lusso emerge dall’eccellente lavorazione artigianale dei materiali. Ebano, zebrano, bubinga e palissandro fanno da contraltare alle foglie d’oro e d’argento, alle lacche, alla seta e alla pergamena. Richard Ginori crea delle meravigliose maioliche su disegno di Gio Ponti. Nel Fumoir le vetrate a mosaico di Pietro Chiesa sono definite dalla stampa internazionale ‘simili a una sinfonia di Stravinskij’.






Complementi d’arredo, materiali, matrici cromatiche e opere d’arte, apparentemente slegati fra loro, risultano uniti da un filo di grande coerenza. Come le note di uno spartito generano un suono armonico, anche gli interni della Victoria sono la somma di scelte accurate dove nulla è lasciato al caso. Pulitzer crea un’opera che è un capolavoro nella storia del design navale.

La migliore sintesi fra architettura, ingegneria e design è il salone da pranzo di prima classe. È un ambiente lungo 19, largo 16 e alto 6 metri illuminato da sedici finestre ad arco con vetrate a mosaico di Pietro Chiesa. Un geniale sistema di travi a ponte regge il soffitto senza colonne che intralcino la visuale. Pareti e soffitto sono rivestiti in foglia d’oro, illuminati da luci indirette che provengono da due sirene in bronzo di Libero Andreotti. Le pareti di prua e poppa sono rivestite da pannelli in ebano e lacche dorate disegnati da Augusto Cernigoj e Gio Ponti; sempre di Ponti sono le maioliche che rivestono i buffet.


Il salone regala la grande novità mondiale a bordo di una nave: l’aria condizionata. L’impianto studiato dalla società americana Carrier rende piacevolissima la vita di bordo anche sotto il sole cocente del Mar Rosso. Gli alloggi di prima classe riservano un’altra graditissima sorpresa: sono tutti dotati di bagni privati. Può suonare strano, ma all’epoca anche i maggiori transatlantici, come il Normandie francese e la Queen Mary inglese, offrivano sistemazioni con bagni condivisi fra due cabine o con il solo lavabo in camera.




Se metà dei 522 passeggeri viaggia in prima classe, l’altra metà viaggia suddivisa fra seconda (145 posti) e terza (140 posti). Anche in seconda classe gli spazi sono moderni e arredati con eleganza. La hall è rivestita da lacche su fondo patinato oro di Augusto Cernigoj, mentre il bar è fasciato dalle maioliche policrome di Gio Ponti. Sia la seconda che la terza classe sono rinfrescate da un innovativo sistema a ventilazione forzata.


Il 27 giugno del 1931 la Victoria parte da Trieste per il viaggio inaugurale, diretta ad Alessandria d’Egitto. A bordo quarantasette giornalisti, di cui trentadue stranieri, la consacrano come “nave più bella del mondo”.
Il 24 gennaio 1932 salpa sulla linea Genova-Bombay. Il successo presso l’aristocrazia indiana è tale da farle guadagnare l’appellativo di “Nave dei Maharaja”, oltre che di “Freccia dell’Oceano Indiano”. Le popolazioni arabe del Mar Rosso la ribattezzano “la Bianca Colomba d’Oriente”.
I punti forti della Victoria sono la velocità, l’aria condizionata, la piscina all’aperto, il servizio impeccabile, la cordiale accoglienza e l’eccellente cucina di bordo. Come la nobiltà indiana anche l’élite araba la preferisce in breve alle navi inglesi, principalmente per il trattamento cordiale e signorile, di gran lunga superiore al malcelato disprezzo offerto dagli equipaggi inglesi.
Alla fine anche molti britannici la preferiscono alla loro ammiraglia, il Viceroy of India, che impiega tre giorni in più sulla medesima rotta. Del resto il confronto è impietoso: entrata in servizio solo due anni prima, la nave inglese sembra appartenere ad un’altra epoca. E’ nera e ocra, con solo una stanza da bagno ogni sei passeggeri.


A nulla vale l’appello del quotidiano londinese ‘The Time’ di evitare la “nave fascista”. Dai membri dell’aristocrazia ai semplici funzionari sono sempre più i sudditi di Sua Maestà disposti ad accollarsi due giorni di treno da Londra a Genova pur di viaggiare sulla splendida ammiraglia lloydiana.
Rudyard Kipling ne rimane letteralmente affascinato. Lo scrittore Paul Morand, nel libro “La Route des Indies”, racconta come i passeggeri del lento e soffocante piroscafo inglese non possano che invidiare quelli della Victoria quando la “Nave dei Maharaja” li sorpassa, arrivando a Bombay cinque giorni prima.

Nel giugno del 1936 la Victoria è assegnata alla linea per l’Estremo Oriente sulla rotta Genova-Shanghai, riducendo l’intervallo delle traversate da 30 a 20 giorni. Anche qui il successo è immediato, tanto che serve prenotare con mesi d’anticipo. Nell’estate del 1939 trasporta oltre 850 ebrei in fuga dalla Germania nazista diretti a Shanghai (per decreto le leggi razziali in vigore sul suolo italiano erano sospese a bordo delle navi).
In otto anni molte celebrità affollano i suoi saloni: i reali di Grecia, Persia e Afghanistan, dozzine di maharaja, svariati principi sauditi, sultani, duchi inglesi, un ministro cinese, e tanti altri.

Il 3 novembre 1939 salpa per l’ultima volta da Bombay e non rivedrà mai più l’Oriente. Come moltissimi transatlantici italiani verrà travolta dal turbine della guerra. Smontati tutti gli arredi è trasformata in trasporto truppe nel 1941, e un anno dopo viene affondata al largo delle coste libiche durante un attacco aereo alleato.
Oggi della Victoria restano solo fotografie un po’ sbiadite e alcune citazioni di scrittori e viaggiatori; i suoi meravigliosi arredi in parte dispersi e in parte venduti ai collezionisti.
Rimane l’eco di un’epoca in cui viaggiare era un esperienza di vita. La nave era un microcosmo dove i riti sociali acquisivano una morbidezza inedita, la freschezza del mare, il sapore di libertà regalato da un orizzonte senza limiti.
Ringrazio il Professore Paolo Piccione che mi ha svelato aspetti inediti sulla storia dei transatlantici italiani. Dai suoi libri ho scoperto un mondo dove navi, design, arte e raffinatezza hanno contribuito a creare il mito dello Stile Italiano nel mondo.
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