
50 anni di Smile, la storia dell’emoticon che ha cambiato il modo di comunicare
Era il 1972 quando lo Smile fece ingresso nel linguaggio di tutti no: vi raccontiamo la sua storia
50 anni di Smile: la storia dell’emoticon dal sorriso contagioso che ha cambiato la comunicazione, ancor prima che i Social facessero la loro parte.
È il 1972 quando Franklin Loufrani registra il marchio Smiley. Il suo, però, non è ingegno. Infatti, la faccina gialla fu disegnata dall’artista Harvey Bell nove anni prima, nel 196, utilizzandola per una pubblicità di un noto marchio assicurativo. L’algerino Loufrani, con un debutto da redattore per la rivista francese France Soir, inventò un modo per contrassegnare le notizie divertenti, con umo smile. La trovata fu accolta positivamente dal pubblico tanto da spingerlo, per le sue doti imprenditoriali, a registrare lo Smiley fondando The Smiley Company. “Prendetevi il tempo per sorridere“, era lo slogan del progetto.

Lo smile, come ha cambiato il modo di comunicare
Lo smiley ha rivoluzionato il nostro modo di comunicare: certamente più veloce. Con un sorriso, la risposta è istantanea ma spesso è un diversivo per togliersi dall’impaccio di una situazione del quale avremmo fatto volentieri a meno; un lapidario saluto, pur simpatico, per congedarsi da una conversazione imbarazzante. Se nel ’72 lo Smiley resta un pin per contrassegnare una notizia curiosa, dal 1982, esattamente 10 anni dopo, l’informatico Scott Fahlman suggerì al suo team che nel sistema messaggistico della Carnegie Mellon University si sarebbero potuti usare : – ) e : – ( . L’emoji che noi tutti utilizziamo per i Social Network e per la messaggistica veloce, invece, sono figli degli anni Novanta, quando la NTT DoCoMo (operatore telefonico più importante del Giappone) realizza il pittogramma tramite un software ad hoc. Oggi, si comunicano le emozioni attraverso un linguaggio universale: quello delle faccine.
Smile e arte: quando la street art sorride al mondo
Avreste mai creduto che uno smile potesse rivelarsi un ghigno? È un’ipotesi che diversi critici hanno avvallato nell’opera di Banksy.

Flying Copper è un poliziotto inglese che impugna un’arma ma che lascia che siano le ali a conferirgli un’espressione più umana. Un ossimoro tra il bene e il male: un arbitrium difficile da assicurare. La Mona Lisa, inoltre, è stata oggetto di un’evoluzione estetica divenendo, da conturbante donna rinascimentale a divertente emoticon 2.0.

Gli esempi di smiley nell’arte non si risparmiano, soprattutto nella street art. L’artista americano Ron English è solito realizzare i suoi murales con enormi faccini sorridenti.

Come potrete notare, anche in questo caso lo smile copre un teschio: un dualismo che contrasta nel significato di vita e felicità con tristezza e morte.
Smile e moda: una storia di un (felice) amore lunga decenni
È il 1992 quando Franco Moschino (Abbiategrasso, 27 febbraio 1950 – Annone di Brianza, 18 settembre 1994) disegna un blazer dedicato allo smiley, a testimonianza che la moda ha bisogna di guardarsi attorno per creare nuovi stili; attingendo, soprattutto, alla cultura pop.


Su questo filone, maison del lusso e marchi low cost hanno realizzato abiti e accessori dedicati all’ottimismo dello smile. Negli anni Novanta, infatti, prende vigore lo street style con t-shirt in cotone e faccine serigrafate abbinate a jeans strappati. Ai piedi, i giovani indosseranno le ginniche Superga. Dopo dieci dalla sua entrata in scena, negli anni 2000 lo smile è protagonista della street culture, ossessionando le giovani generazioni. Il faccino sorridente è ovunque. Gli studenti decorano le cartelle di cotone con le spille smile; costumizzano le sneakers con l’emoticon.

La The Smiley Company detiene più di 100 accordi di licenza per l’utilizzo del disegno. Michael Kors, Lee Jeans, Alice+Olivia, BSR by Samii Ryan, Dsquared2, Joshua Sanders, Karl Lagerfeld, Philosophy by Lorenzo Serafini; Eastpak, Champion, Reebok, Loewe: sono davvero tanti i marchi che hanno realizzato le collezioni sul filone del faccino sorridente.
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