
Stella McCartney Cop 2026: le sue critiche discutibili
I marchi inglesi decisivi per la sostenibilità ambientale. Piovono critiche su Stella McCartney al Cop26. La pelle vegana è sostenibile?
Stella McCartney al Cop26 fa quadrato, assieme ad altri marchi inglesi, sui danni dell’industria della moda (la seconda più inquinante) sul pianeta. Ma proprio lei è bersaglio di critiche che, dopotutto, non sarebbero proprio infondate.
Al Summit sul clima, a Glasgow, alcuni marchi inglesi hanno esposto le loro perplessità sul nuovo patto che va delineandosi dopo gli incontri dei grandi del pianeta. Burberry e Stella McCartney spingono affinché gli obiettivi vengano raggiunti nel breve tempo possibile. Durante le discussioni, però, una dichiarazione della stilista inglese ha contribuito a provocare una bagarre di accuse che vale la pena approfondire: la pelle vegana è davvero sostenibile?

Stella McCartney contro le concerie, parole durissime dalla nota designer inglese
L’impegno di Stella per una moda cruelty-free l’ha vista in prima fila a favore della battaglie animaliste, seguendo le orme di Vivienne Westwood, sua grande amica. Ma la moda vegana è realmente etica? Durante Cop26, la figlia di Paul McCartney lancia una petizione che sfavorirebbe l’industria conciaria, rea di essere elemento incisivo di una torre di Babele da demolire. Il gesto non è piaciuto al mondo della conceria che, in Italia, vede portavoce l’amministratore delegato di Lineapelle, Fulvia Bacchi che ha risposto: “Il nostro settore che lavora per i marchi di eccellenza del made in Italy è fra i più controllati, insieme a quello alimentare e ha investito in tecnologie e ricerca“. La conceria italiana è in grado di fornire un’economia circolare. La pelle utilizzata per produrre capi di moda che finiranno sugli scaffali di mezzo mondo è reperita dagli scarti della macellazione.
La pelle vegana inquina?
Ma come viene prodotta la pelle vegana? La pelle vegana non è altro che un prodotto finale di una lavorazione ben più complessa. Le materie prime sono generalmente reperite in natura: foglie di ulivo, buccia di mele, arance, ananas e anche scarti della produzione di vino. Di recente, maison Hermès ha inventato la pelle Sylvania, ottenuta lavorando i miceli del fungo. Ma venendo alla produzione di Stella McCartney, cosa c’è di etico nella sua collezione?
Un prodotto sostenibile non dovrebbe impiegare eccessive quantità d’acqua e limitare le emissioni di CO2. Dovrebbe supportare l’economia circolare e non sfruttare la manodopera; inoltre, l’uso di agenti chimici per i trattamenti delle pelli/tessuti deve essere limitato. Dopo questa premessa, ci chiediamo: come mai alcune creazioni di Stella McCartney (un esempio è l’iconica Falabella bag) recano, sull’etichetta, il simbolo PU o PVC? Non sono forse materiali inquinanti?
Parlando chiaro, per ammorbidire il tessuto/pelle vegano sono impiegati gli ftalati, composti chimici tra i più inquinanti. La denuncia viene proprio da Greenpeace che gli annovera come tra “la plastica più dannosa per il pianeta”. Detto ciò, vale una riflessione: potrà mai esistere una moda realmente etica? La strada è ancora lunga ma vale la pena provarci senza fare una crociata ideologica su ciò che dovrebbe mettere d’accordo tutta la filiera produttiva.
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